
Diego Armando Maradona
Ciò che colpisce nei numerosissimi e forse eccessivi commenti seguiti alla morte di Armando Maradona è l’insistenza sul fatto che alla grandezza incommensurabile delle suo talento calcistico facesse seguito la piccolezza dell’uomo, dipendente dalle droghe, amico di criminali, evasore fiscale. Un uomo fin troppo umano. Un uomo debole, ma con una parte di sé risplendente.
La maggior parte dei commenti si limitano a descrivere questa realtà, illustrando un Maradona come una medaglia a due facce. Pochi si chiedono perché queste due facce possano essere così diverse; e soprattutto nessuno si chiede se l’una faccia sia la conseguenza dell’altra o come le due facce costituiscano un’unica identità.
Maradona è stato, come del resto siamo anche noi, una sola persona, un solo “Io”. E le vicende della sua vita si spiegano se ragioniamo sulle emozioni di cui era composto questo “Io”.
Dal nostro punto di vista Maradona era una personalità normale, ma tendente al pessimismo, un volenteroso pessimista (nelle organizzazioni di significato personale del cognitivismo postrazionalista sarebbe definito come una personalità non depressa, ma tendente alla depressione). Cioè una personalità che fin dall’infanzia, essendo stato parzialmente o fortemente trascurato dai propri genitori, porta impresso nella sua modalità emotiva la sensazione di inamabilità. Maradona è uno che essendo stato poco amato sente, inconsapevolmente, di essere poco amabile. Pertanto si sforza di far bene nella speranza di essere riconosciuto amabile, ma questo sforzo, come per tutti i depressivi, non conduce mai alla sensazione definitiva di essere amabile. Il suo sforzo di essere amabile si esprime nel settore del calcio essendo favorito da capacità fisiche e istintive di grande evidenza. Nel mondo nel calcio infatti Maradona raggiunge vette ineguagliate e, nel calcio, risulta molto amato, ma questa sensazione non cambia la sua natura di fondo di essere poco amabile.
Questa sensazione di fondo della sua personalità deriva, come abbiamo detto, dalle sue esperienze dell’infanzia. Nell’infanzia, quando non pensiamo e non parliamo, siamo un “tutto emotivo” e le esperienze che viviamo si incidono nel nostro “Io” profondo, emotivo, e rimangono per sempre nella nostra identità. Noi da grandi pensiamo, sentiamo e agiamo in un certo modo senza sapere di essere influenzati da queste esperienze infantili fatte quando i nostri circuiti neurali non erano sviluppati e perciò noi non ne possiamo conservare memoria.
Dalla sensazione di inamabilità, che Maradona adulto vive inconsapevolmente, nascono le dipendenze, il comportamento ambiguo, promiscuo e ribelle, incline a rischio.
L’emozione di fondo di Maradona è la tristezza. La tristezza di chi è stato poco considerato o abbandonato, di chi ha subito una separazione o un lutto. La sensazione profonda e inconsapevole di essere inamabile induce al pessimismo, alla convinzione che niente potrà servire per il riscatto, che tutto in qualche modo andrà male. Si cerca allora una regolazione esterna per questo sentire triste e sconsolato. Si cerca nelle droghe, nella promiscuità e a volte nell’incontro con il rischio della sfida criminale.
In Maradona da una parte c’è lo sforzo per un’impresa salvifica che si concretizza nel calcio, dall’altra la sensazione che ciò non sarà mai sufficiente e quindi si cede alla regolazione che si immagina possa intervenire con le droghe e con il sesso.
L’emozione di fondo di Maradona, abbiamo detto, è la tristezza. La tristezza dell’inamato.
Ma non bisogna pensare che la tristezza sì manifesti in Lui con le sue peculiari caratteristiche dell’emozione occasionale. Quando siamo affetti dalla tristezza occasionale (abbandono da parte di una persona amata o morte di un parente o di un amico) piangiamo, ci ritiriamo in noi stessi e coltiviamo pensieri negativi. Quando la tristezza è un’emozione di fondo essa è leggerissima, quasi incaptabile e del tutto inconsapevole. Essa volge al negativo i pensieri, come la tristezza occasionale, e spinge l’azione verso imprese di riscatto. Crea aspirazioni verso vette alte, a volte irrealizzabili, ma che a volte si realizzano. Spinge alla realizzazione artistica malinconica e sognante, che raggiunge vette inarrivabili come in Leopardi o in Raffaello. Oppure nel gesto sportivo delizioso e originale come in Maradona. Il suo gesto corporeo è meravigliosamente fine, ardito, inaspettato. Il suo fisico e la sua mente creativa glielo permettevano e lui lo ha fatto. Lui ha fatto il gol e il passaggio che nessuno avrebbe mai pensato. Lui ha usato il corpo come nessuno avrebbe mai tentato.
Ma le sensazioni nel profondo restano negative, pessimiste. E i comportamenti restano propensi al rischio, ribelli e sprezzanti del pericolo. Il gesto corporeo spaventosamente fine, ardito, inaspettato era nient’altro che un tentativo di uscire dall’ inamabilità. Tentativo che spesso riesce, ma che comunque non corregge la sensazione di fondo triste e negativa. La sensazione di non valere rimane. E questa sensazione plasma i comportamenti della vita.
Ci si può chiedere a questo punto se il destino di Maradona, come il destino di tutti i depressivi o di tutti noi, sia scritto per sempre, immutabile.
La risposta è no. Le emozioni, quelle occasionali e quelle di fondo, possono essere riconosciute e regolate.
Oggi abbiamo sviluppato pratiche, conoscenze e percorsi individuali e professionali che riescono a ridurre gli effetti negativi della nostra identità e a moltiplicare gli effetti positivi. Possiamo conoscere, articolare, attenuare, migliorare quasi tutto di quello che sentiamo e che siamo.
Il festival delle emozioni è impegnato su questa strada.
Bisogna precisare che la sensazione di fondo non potrà essere cambiata del tutto perché altrimenti diventeremo tutt’altra cosa e ciò è impossibile. Impossibile per noi e per gli altri. Per noi perché non possiamo tornare alla nostra infanzia ed essere impastati di altra pasta. E per gli altri, perché gli altri si aspettano che noi siamo sempre gli stessi altrimenti ogni coordinazione con il gruppo sarebbe impossibile. E la coordinazione del gruppo è essenziale per la sopravvivenza.
Leopardi era un depressivo. Grandissimo e fortemente pessimista.
Charlie Chaplin era un depressivo. Un comico grandissimo e fortemente triste. Grandissimo perché triste.
Maradona è stato grande e con questa grandezza ha cercato di occultare, anche a se stesso, la sua tristezza. E la sua tristezza lo ha fatto essere l’uomo ribelle e immorale che è stato.
La grandezza nel calcio lo ha reso un mito. Un mito umano, troppo umano. Veloce di gambe e irresponsabile ricercatore di sostanze e incontri che lenissero il dolore antico dell’esperienza infantile di essere trascurato.
Anche la sua morte, dovuta ai suoi eccessi, ma vissuta nell’abbandono di tutti, lo rende un mito. Ma gli dei non sono che uomini che disegnano i nostri sogni e che condividono le nostre pochezze. Il gesto incredibile del calciatore o la parola inarrivabile del poeta sono come Il fulmine divino che a volte nasconde la mano furtiva che ha rubato il gol agli inglesi.
Giuseppe Musilli