Del Prof. Giuseppe Musilli
Nell’ultimo incontro organizzato dal Festival delle Emozioni il relatore Marco Guzzi nel suo bellissimo intervento ha fatto molte volte riferimento alla Trasfigurazione di Raffaello.
La Trasfigurazione è l’ultimo quadro che Raffaello dipinse prima di morire, ancor giovane e in maniera inattesa, il 6 aprile del 1520. Quando gli amici e molti romani ricchi e poveri andarono a rendere omaggio al grande, notissimo e amato pittore questo quadro era disposto come capoletto sul giaciglio che accoglieva il suo corpo avvolto nel sudario. Il quadro, non del tutto finito, apparve bellissimo e lasciò stupiti tutti i visitatori.
Nel quadro, com’è noto, Raffaello rappresenta Gesù che sul monte Tabor mostra ad alcuni suoi discepoli la sua natura divina, in un’atmosfera satura di luce e di gloria; ciò che colpisce in questa parte del quadro è la luminosità che rende i corpi leggeri e veleggianti nel cielo meridiano.
Nella parte bassa del quadro invece, in un’atmosfera agitata e piena di ombre, gli apostoli tentano di guarire un ossesso, cioè una persona posseduta dal demonio, senza riuscirvi. Lo farà successivamente Gesù sceso dal monte. L’atmosfera è buia e affollata, i corpi sono agitati e suggeriscono ansia e dolore.
Questo quadro, nella celebrazione dei cinquecento anni dalla morte dell’autore, ci ha ispirato per intitolare appunto alla Trasfigurazione una serie di conferenze che terremo nel festival di quest’anno per omaggiare questo grande nostro artista del Rinascimento e per ragionare sul tema della Trasfigurazione che presenta e suggerisce molti significati.
Infatti con la Trasfigurazione Gesù tentò di spiegare che la sua morte, che stava per arrivare, non doveva affliggere gli apostoli perché essa consisteva nell’acquisizione di una nuova vita trasfigurata, comprensiva dell’umano e del divino.
Nello stesso tempo possiamo pensare che Trasfigurazione significhi il tentativo di modificare una realtà a volte buia e dolorosa come quella dell’uomo posseduto che urla e strabuzza gli occhi nella parte bassa del quadro, in una realtà più illuminata e più direttamente comprensibile. Trasfigurare cioè la realtà attraverso il pensiero, le emozioni e attraverso l’arte.
L’arte è una capacità umana di immaginare una realtà emotivamente più significativa e simbolicamente più soddisfacente. O ancora, la capacità di comunicare attraverso le emozioni ciò che non è comunicabile con le semplici parole. È anche un modo per guardare dentro di noi, per divenire consapevoli e fiduciosi della possibilità di migliorare le cose.
A noi del Festival il linguaggio dell’arte interessa moltissimo perché è il linguaggio dell’emozioni, è il linguaggio delle verità più profonde e più personali.
E proprio per tale motivo che, in questi giorni di quarantena, il quadro ci parla dalla lontananza dei secoli. Siamo tutti nella parte bassa del quadro. E ciò è vero durante i periodi normali, ma ancor più oggi, dal momento che il virus che imperversa nel mondo ha imposto alla nostra vita restrizioni mai viste e ci ha resi timorosi e pieni di ansia. La nostra immobilità casalinga ci fa sentire in qualche modo tutti malati.
Ma ogni crisi è un’occasione. C’è oggi l’occasione di tornare ad essere se stessi. Dal momento che siamo obbligati a fermarci, a porre limiti al nostro fare, alle nostre mille incombenze, ai nostri irrinviabili doveri, possiamo guardare oltre e immaginare la purezza dell’essere separata dall’ansia del fare; possiamo sognare una nuova, luminosa chiarezza.
Raffaello è un pittore in cui tutte le cose sono chiare, colorate, eleganti, in una parola belle. Richiamando il titolo di un bellissimo romanzo americano di alcuni anni fa potremmo dire che in Raffaello “ogni cosa è illuminata”.
E le cose illuminate sono vere; in greco la verità si dice “alèteia” che significa non nascosto, cioè illuminato.
Ecco dunque: la quarantena è l’occasione per illuminare la nostra vita, per renderla più significativa e più vera. Allora la notte finirà e arriverà l’aurora lucente.
Nell’Iliade e nell’Odissea quando si vuol dire che nasce nuovo giorno, e questa necessità ricorre molto spesso per indicare il tempo che passa, si dice che nel cielo appare l’Aurora dalle dita di rosa, oppure l’Aurora lucente. Ecco: la quarantena può essere l’attesa dell’aurora lucente. La luce del mattino che sconfigge il buio della notte.
E la Trasfigurazione di Raffaello, con grande sorpresa, ci racconta anche questo: l’arrivo dell’Aurora lucente. Se guardate attentamente il quadro infatti sulla destra è dipinto un paesaggio lontano che rappresenta un paesino con un cielo rischiarato dal sole che sorge al mattino. E questo sole sorge a metà del quadro, come fosse una specie di mediazione fra le due metà del quadro stesso: fra l’oscura e dolorosa realtà e la luce del divino e del bello. Questo paesaggio, sereno e normale, non sembra, dal punto di vista figurativo, né la continuazione del monte Tabor e nemmeno la continuazione della piazzetta affollata dove l’indiavolato gira gli occhi al cielo e si dimena. Questo paesaggio sta lì, sospeso nel mezzo, come una possibilità, come un futuro da conquistare.
È l’aurora lucente che disperde l’ansiosa quarantena ispirandosi alla contemplazione del sereno e della luce apparse sul monte Tabor.