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La trasfigurazione o la funzione dell’arte. L’arte come mezzo esplorativo ed educativo delle emozioni.

Pubblicato il 27 Aprile 2020 0

Prof. Giuseppe Musilli

C’è un celebre quadro di Raffaello, l’ultimo che lui dipinse, e che fu collocato nella stanza dove i romani andarono a salutare il più grande pittore vivente che era prematuramente scomparso; questo quadro si intitola “La trasfigurazione”.

Trasfigurazione di Raffaello

È un grande capolavoro. La tela è divisa in due parti; nella parte superiore Gesù appare trasfigurato con una nitidissima veste e in un alone di luce che lo fa apparire divino. Accanto a lui appaiono Mosè ed Elia. Addormentati sull’erba ci sono gli apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo per cui Gesù fece la dimostrazione della sua divinità. In quei tempi Gesù parlava della sua morte, siamo infatti prossimi alla settimana di passione, e i suoi apostoli non riuscivano a rendersi conto di questa possibilità in quanto le scritture affermavano che il Messia non poteva morire. Così si decise a mostrare la sua divinità che gli avrebbe consentito sia la morte e che la resurrezione. La dimostrazione avvenne sul monte Tabor.

Una volta scesi dal monte Gesù guarì un ossesso che gli apostoli rimasti ai piedi del monte non erano riusciti a guarire. Nella parte inferiore della tela infatti Raffaello ci mostra questa guarigione; (qualche critico sostiene che nella parte inferiore ci sia il “tentativo” di guarigione da parte degli apostoli e non la guarigione stessa; in questo caso ci sarebbe contemporaneità cronologica tra la parte superiore è la parte inferiore della tela). Nella parte inferiore della tela la scena è affollata, i personaggi sono variamente agitati, l’ossesso allarga le braccia, grida e torce gli occhi, i familiari lo assistono, mentre gli apostoli si interrogano o si sbracciano in varie direzioni. I colori sono accesi e forti, lo sfondo è scuro. Nella parte superiore invece tutto è chiaro e luminoso; le vesti di Gesù sono bianche dentro una nuvola bianca. Gesù, Mosè ed Elia si librano in aria leggerissimi; lievitano senza alcuno sforzo, i corpi e le vesti sembrano non avere peso. In questa parte della tela è rappresentata l’umanità trasfigurata in divinità, mentre nella parte sottostante l’umanità conserva tutto il suo peso e il suo dolore. La realtà, rappresentata nella parte inferiore della tela, è dura, dolorosa e agitata. La divinità, rappresentata nella parte superiore della tela è aerea, luminosa, delicata e calma. Nella parte inferiore c’è la dolorosa realtà, nella parte superiore c’è la speranza di una gioiosa eternità.

La trasfigurazione così magistralmente rappresentata da Raffaello è una metafora della trasformazione che avviene in ogni performance artistica. L’arte non è la rappresentazione della realtà, ma è la sua trasformazione. Anche l’arte presenta due aspetti: da una parte c’è la storia raccontata, le immagini che alludono a personaggi o a eventi, la musica, i versi, le battute teatrali dei personaggi …  cioè quello che Croce chiamava il contenuto; dall’altra la trasformazione che ne fa l’autore con le sue capacità artistiche. Questa trasformazione conduce ad un significato nuovo e ulteriore.  

Questo significato ulteriore, proprio per la sua stessa natura, che è quella di essere un “significato del significato”, di essere cioè un significato aggiuntivo e non esposto come percezione immediata, non è completamente dicibile; esso è un significato emotivo e non cognitivo. Facciamo l’esempio della poesia; in essa si usano le parole, le quali hanno un loro significato specifico, descrittivo o indicativo, ma tutto l’insieme delle parole, la loro disposizione e la loro scansione in versi tendono a raggiungere un significato più ampio e del tutto indefinito che comprende il significato delle parole stesse, ma lo proietta in un ambito emotivo e verbalmente inattingibile. Questo significato indicibile e del tutto emotivo è un significato che richiama la nostra esperienza di fusione con la natura, di fusione emotiva con gli altri della nostra specie e con gli eventi del mondo così com’era al tempo del nostro lunghissimo viaggio preverbale verso la consapevolezza, quando cioè vivevamo in piccole comunità di ominidi, ma ancora non usavamo la parola per comunicare. Questo viaggio si è poi ripetuto per ognuno di noi dalla nascita fino all’età in cui abbiamo imparato a dare alle parole i loro corretti significati.  L’arte ha questa funzione dunque, quella di raggiungere una parte di noi, intima e gelosamente custodita e spesso inconsapevole; e il contatto con questa parte così importante di noi è essenziale alla nostra identità e alla nostra crescita. È per questo che l’arte l’abbiamo inventata e sviluppata: perché siamo affamati di significati che superino la realtà e che richiamino la nostra spiritualità più antica e più profonda, la nostra emotività vissuta in connessione diretta con la natura e con gli altri.

Ciò che stiamo cercando di dire è che l’arte è uno dei mezzi privilegiati per connetterci alle emozioni, per trasfigurare la realtà e per attingere i significati più profondi della nostra vita. Le parole, i suoni, le immagini, i movimenti della danza, le narrazioni romanzate o teatrali e infine la forma d’arte più moderna, il cinema, che usa tutti gli strumenti immaginati dall’uomo fin dall’inizio della storia, sono gli strumenti che utilizziamo per provare ad “toccare” una parte di noi profonda e profondamente ritenuta nostra, ma non totalmente individuabile attraverso questi strumenti stessi; una parte di noi fatta di emozioni e che non possiamo trascurare pena l’abbrutimento o l’insignificanza.

Ovviamente, se queste nostre considerazioni hanno fondamento, tutti possono immaginare quale è la capacità educativa dell’arte nei confronti dei nostri giovani. A scuola molto si fa intorno e per mezzo dell’arte. Ma si fa la cosa giusta? Quando diciamo che attraverso la scuola vogliamo far crescere generazioni autonome e forti utilizziamo lo strumento giusto? Non ci fermiamo forse un po’ troppo nella parte inferiore del quadro, cioè a descrivere e a raccontare la realtà, senza provare a individuare un mezzo per trasformarla? O magari ci fermiamo al massimo ad analizzare quella che Croce chiamava “la forma”, cioè gli strumenti artigianali che l’artista usa per raggiungere il significato “ulteriore”; (cosa questa, l’analisi formale, estremamente noiosa e capace di uccidere la volontà di fare il salto verso “l’ulteriore”). Ma nulla diciamo di questo salto (e nemmeno Croce ha detto grandi cose) verso il nostro Sé più profondo o verso l’infinito. Invece l’essenza dell’arte è affrontare la trasfigurazione, nuotare nell’emozione. È necessario invitare i nostri ragazzi al viaggio; è necessario indicare loro il sentiero. Ma la via che conduce alla parte superiore del quadro è personale per ognuno di noi; ogni nostro ragazzo la deve percorrere da solo; noi dobbiamo solo creare l’occasione che gli consenta di imboccare il sentiero.

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